Corpus d'articles du journal Il Sole 24 Ore

« Siamo ancora giovani », ripete Gianmario Roveraro commentando il quinto bilancio della Akros. Ma l'etichetta di oggetto misterioso, che ha accompagnato a lungo la creatura dell'ex amministratore delegato della Sige, viene ormai garbatamente respinta. I conti '91, approvati ieri dall'assemblea, fotografano la crescita di un gruppo ben radicato in tutti i segmenti del business finanziario, dall'intermediazione al risparmio gestito, al merchant banking, alle iniziative internazionali. Con traguardi non solo quantitativi anche per il '92, a cominciare dall'entrata come primary dealer sul secondario telematico, prevista per l'autunno. E con un piedistallo sociale che si arricchisce (assieme ad altri, hanno aderito recentemente i gruppi Garrone e Merloni).

In un bilancio molto articolato spicca il forte progresso dei volumi intermediati sia nell'azionario-obbligazionario (52.500 miliardi, +26%), sia nei prodotti derivati (22mila miliardi, +41%), mentre l'utile netto è salito a 21,8 miliardi (+4,3%), che ha consentito la distribuzione di un dividendo invariato di 20 lire. Nel private banking, i mezzi amministrati per conto della clientela _ tra fondi, gestioni e altre formule _ è quasi raddoppiato in un anno fino a 1.726 miliardi.

E anche se Roveraro preferisce soffermarsi su iniziative specifiche (come Service Management Italia, un'innovativa filiazione italiana di una multinazionale di servizi sanitari), altri episodi non di secondo piano hanno segnato il '91 di Akros: la nomina dell'amministratore delegato nel cda del Credito italiano e la concezione, nelle stanze della holding, del piano risolutivo del concordato Federconsorzi, oggi in dirittura d'arrivo sotto la supervisione di Pellegrino Capaldo.

Dottor Roveraro, cosa sottolinea del bilancio '91 di Akros?

Senz'altro i dati sull'intermediazione: soprattutto nel reddito fisso, siamo ormai tra i primi cinque intermediari non bancari, in un mercato ormai maturo e quindi altamente competitivo. Nei prodotti derivati, principalmente swap valutari e d'interesse, siamo vicini alla leadership tra le istituzioni non creditizie. Il nostro budget '91 punta a un turnover in crescita del 50%, cioè a circa 75mila miliardi. L'attività è abbastanza redditizia: nel primo trimestre Akros Attimo ha realizzato un utile operativo di 4,1 miliardi e Akros mercantile di 4,6 miliardi, con un portafoglio sufficientemente solido.

Come va Akros Sim?

Nel primo scorcio dell'anno ci siamo mantenuti sul break even, raggiungendo comunque una quota di mercato del 10%, superiore alle attese. Pur con la Borsa in crisi puntiamo a 5mila miliardi di volumi azionari intermediati. Operiamo molto verso l'estero, che è potenzialmente molto liquido sull'Italia.

Nella compagine sociale di Akros vi sono avvicendamenti, ma la struttura originaria non muta. Akros è una holding finanziaria indipendente fortemente imperniata sulle figure manageriali. Ed è una public company particolare: non quotata, ma formata da parecchi grandi gruppi, noti e meno noti, non animati comunque da spirito di "salotto buono". Sarà sempre così?

La formula resta valida: una pluralità di operatori economici di rilievo, italiani e dotati di mezzi che investono nell'industria finanziaria aderendo a un progetto imprenditoriale preciso. Il management è impegnato a sviluppare questo progetto con questi assetti proprietari. Quando la strategia evolverà potremo pensare a nuovi equilibri azionari: per esempio a un "nocciolo duro" o all'apertura del capitale al mercato.

La guida operativa di Akros rimane quindi stabile...

Assolutamente sì. Personalmente non posso e non voglio lasciare Akros, che è in espansione grazie alla fiducia dei soci e alle capacità dell'organizzazione. È una scelta condivisa dal direttore generale Giovanni Pavese, che è un professionista affermato e che riceve frequenti offerte dall'esterno. Offerte che lascia però puntualmente cadere. Dal canto mio, l'incarico di consigliere al Credit è impegnativo e gratificante: ma chi mi attribuisce aspirazioni di banchiere lavora di fantasia.

« Questa assemblea non deve affrontare i punti all'ordine del giorno nè, tanto meno, su questi deliberare: gli argomenti non competono all'assemblea della Riva finanziaria e il loro esame potrebbe compromettere la trattativa in corso con il gruppo Voith ». Mario Casella, azionista della Riva Finanziaria e consigliere legale della maggioranza che controlla la società, ha bloccato con questa mozione lo svolgimento dell'assemblea, convocata su richiesta di una minoranza per esaminare lo stato delle trattative in corso tra la società e il gruppo tedesco Voith; colloqui che riguardano la cessione della controllata Riva Hydroart, una delle più importanti società operative del gruppo, in portafoglio alla Riva Calzoni.

Dopo una lunga e accesa discussione che ha visto contrapposti da una parte la maggioranza (rappresentata da due rami della famiglia Ucelli) e dall'altra la minoranza (il terzo ramo Ucelli e la famiglia Majno), una votazione per appello nominale ha dato ragione ai sostenitori della "mozione Casella"; l'assemblea non ha quindi proceduto all'esame dei punti all'ordine del giorno. Sergio Erede, avvocato, azionista della società e portavoce della minoranza promotrice dell'assemblea, ha però preannunciato il ricorso alle vie legali. Secondo Erede, infatti, l'esito della votazione sarebbe stato molto diverso, e avrebbe bocciato la mozione Casella, se i voti della società Casa Bianca, con oltre un milione di azioni, non fossero stati conteggiati.

Questa società _ ha argomentato Erede _ è controllata da Umberto Ucelli, che è vice presidente della Riva Finanziaria: per ragioni di conflitto di interesse, spiega, Umberto Ucelli non avrebbe dovuto partecipare alla votazione. Del resto, ha spiegato ancora Erede, questo è stato l'atteggiamento scelto dagli altri consiglieri che hanno da poco dato in usufrutto le loro azioni ad altri membri della famiglia. È per questo motivo che tutte le azioni in usufrutto dichiarate ieri in assemblea si sono astenute dal voto. Se anche quelle della Casa Bianca si fossero astenute, con ogni probabilità non sarebbe stata raggiunta la maggioranza di voti sulla mozione Casella, lasciando spazio allo svolgimento dell'assemblea.

Nel corso dell'incontro tra gli azionisti sono emerse anche alcune indicazioni sul prezzo di cessione della Riva Hydroart. Secondo gli azionisti di minoranza, le parti starebbero svolgendo la trattativa su una base « inferiore di 17 miliardi al valore di libro della partecipazione, che è di 42 miliardi ». Occorre però ricordare che l'eventuale vendita (la trattativa dovrebbe chiudersi a metà dicembre) riguarderebbe solo una quota di maggioranza della Riva Hydroart: una partecipazione di minoranza resterebbe infatti nelle mani della Riva Calzoni. Il presidente della Riva finanziaria, Annibale Calzoni, da parte sua ha inoltre precisato che queste informazioni sono scorrette: non sarebbero stati forniti valori corretti per non inficiare l'esito della trattativa con i tedeschi.

Non sono poi mancati, nel corso della riunone, alcuni spunti polemici tra le due parti in disaccordo: un azionista della maggioranza ha chiesto se fosse vero che la minoranza è disposta a ritirare le proprie contestazioni, a patto, però, che i suoi pacchetti azionari fossero acquistati a prezzi superiori alle quotazioni di Borsa. Il presidente tuttavia non ha voluto rispondere a questa domanda; mentre la minoranza così provocata ha replicato dicendo di essere invece disponibile ad acquistare azioni della società.